AR: Chi è Gianluca Regondi, come si presenterebbe a chi non lo conosce?
GR: Sono nato a Milano il 16/09/1959, vivo a Bovisio Masciago con mia moglie Simonetta, sposata nel 1994 e le nostre bambine, Marta e Michela. Dal 1985 lavoro per un istituto di credito milanese, e nel 2009 ho rotto il muro del silenzio. Sono timido, schivo, un solitario pentito, un indignato silenzioso che ha iniziato a brontolare, ho il gusto delle parole. Compongo poesie e ho pubblicato la mia prima raccolta “GIORNI DI PANNA: IL VIAGGIO” con Rupe Mutevole nel novembre 2010, grazie all’interessamento insistente di Silvia Denti.
AR: Come è nato il libro e quanto la tua esperienza ha influito sugli argomenti e sulla stesura della raccolta?
GR: Il libro è un desiderio, un’aspirazione, un sogno: sentirmi scrittore è sempre stato il gioco di ruolo di quando ero adolescente. Mi è sempre piaciuta la letteratura, la vita degli scrittori, quelli che ti obbligano a studiare a scuola. Ricordo Leopardi come un compagno di giochi, Ungaretti come un nonno severo, ma estremamente buono perché semplice da studiare, Quasimodo come uno zio triste e sfortunato, Hemingway come il compagno ideale d’avventure e viaggi, Keruoac come un inguaribile sballato, Buckowski come compagno di sbronze epiche … Ed ancora Virgilio, uno stucchevole professore di latino, Omero un visionario, Dante un fuori moda che la sapeva molto lunga. In tutto questo gioco, che inconsciamente ho sempre continuato, s’incastra l’esperienza personale, i dolori, gli amori sbagliati, i disegni andati in fumo, i rapporti difficili: c’è un vissuto che condiziona e ti cambia.
La stesura è nata d’istinto, semplicemente liberando il coraggio di vedere ciò che scrivevo incontrare un certo gradimento nel web, sentendo l’esigenza di mettermi in gioco, cercando nel mio intimo una parte pulita non offesa dal tempo. Nella raccolta ci sono i “GIORNI DI PANNA” con il ricordo di un’adolescenza difficile e privilegiata, passata dentro e fuori dagli ospedali perché ne combinavo una più di Bertoldo, e c’è “IL VIAGGIO” per diventare uomo, che non è per nulla finito. Mi piace pensare a questa intervista come un rifornimento di benzina, per i parecchi kilometri ancora da fare.
AR: In questa raccolta c’è una poesia a cui sei più affezionato?
GR: “RADICI” è dedicata a mio padre, al nostro rapporto quando era in vita, ma soprattutto a quello che ho con lui da quando non c’è più. Con questa poesia ho imparato, compreso, scoperto, ho iniziato IL VIAGGIO. Ci sono affezionato, è la prima che ho letto in pubblico … che mi ha dato, e mi da coraggio. Ma non è l’unica; col tempo ho elaborato una specie di scaletta, a cui faccio riferimento quando ho la possibilità di leggere al pubblico poesie della raccolta: “INNOCENZA – RADICI – LA CURA – FELICITA’ LAVATA E PERSA – TUTTO PASSA”. Durante le presentazioni del libro ho poi scoperto che “PROGETTO D’ILLUSIONE AL BLUES” e “PER UN SOGNO APPENA SPENTO” se recitate dal vivo con una base musicale di blues elettrico, acquistano un fascino particolare.
AR: La poesia sembra ignorata dal mercato, tuttavia intorno si nota fermento e curiosità, grazie alla rete e alle possibilità offerte; qual è la tua opinione e quale futuro prevedi?
GR: Vi sono aspetti di mercato editoriale che non conosco, non sono un addetto ai lavori, ma una comune persona che opera quando può e come può in questo settore: dico sempre agli amici che la poesia ha meno mercato della liquirizia. Solitamente si è avvezzi a considerare la poesia come una cosa lontana, una materia difficile, impegnativa, irraggiungibile e mal sopportata da ogni generazione. E’ probabile che tutto questo dipenda da come viene trasmessa e tramandata: gli addetti ai lavori spesso non sono una mostruosità di simpatia, dialogo e preparazione; traspare il vezzo di considerarsi un’avanguardia di unicità edulcorata, che non vuole o non deve confondersi con nessuno, come una casta intoccabile. In realtà penso che il fermento di cui tu parli, sia solo legato al marketing, alle grandi vetrine che internet offre, una moda. Io stesso sono un prodotto della rete, ma sono anche convinto che la visibilità non sia sinonimo di capacità. Voglio semplicemente dire che l’aver pubblicato un libro, averne un secondo in gestazione, partecipare a mostre ed eventi, rilasciare interviste, è sicuramente appagante, ma spesso viene dimenticato che l’attività principale di un autore è scrivere e non promuovere: scrivere mi da piacere e mi conforta. Il futuro della poesia ? Che sia vera, che chi scrive sia una persona vera, sinceramente convinta di voler comunicare e condividere la propria visione.
AR: C’è una domanda che non ti hanno mai posto e alla quale vorresti invece dare una risposta?
GR: Mi piacerebbe sapere se le conchiglie hanno un’anima, se le foglie quando cadono fanno rumore, se la nebbia agl’irti colli pioviggina sempre mentre sale …
AR: Definiamo il tuo rapporto con la scrittura?
GR: “Non è difficile scrivere una poesia. Il difficile è viverla.” (Charles Bukowsky)
AR: Ti ringrazio per la disponibilità a concedermi questa intervista, in bocca al lupo Gianluca!
ANTONELLA RONZULLI